CapoTrave

Lourdes

www.enricopastore.com, 19 gennaio 2018

La comicità di Andrea Cosentino colpisce per essere sempre creatura duomorfa: aulica e dialettale, potente ed erosiva ma in qualche modo fallimentare, graffiante ma in maniera difensiva quasi a chieder scusa di tanto osare, assurda e fantastica nel suo essere estremamente reale e quotidiana.

In Lourdes, visto ieri sera al Teatro della Caduta di Torino nell’ambito di Concentrica, lavoro per la regia di Luca Ricci che cura anche l’adattamento teatrale del romanzo di Rosa Matteucci, opera quindi non del sacco di Andrea Cosentino, si assiste ai medesimi meccanismi di cui sopra: il mostro duomorfo appare, affascina, ammalia, ma corrode lentamente con il sorriso, svelando miserie e poche nobiltà dell’umano agire/patire.

Un Andrea Cosentino vestito da suora della carità, ci conduce per mano, sul torpedone per Lourdes, con gli anziani, i malati, gli sciancati, verso la grotta e la piscina della Madonna in cerca di un miracolo a buon mercato come un brutto souvenir o, al massimo, di un poco di avventura e compagnia.

Proprio in mezzo a questo bailamme, in questa folla improbabile, vociante, scombinata, superstiziosa nella sua religiosità egoista volta solo al soddisfacimento del proprio desiderio (Madonnina fammi diventare bella) o cura per i propri comunissimi acciacchi, che si trova l’abbandono a Dio. Un finale un po’ troppo facilmente consolatorio ma comprensibile nell’economia dell’opera.

Una sorta di moderno racconto boccaccesco, come Abraam giudeo che vista a Roma la gran cattiveria dei monaci torna a Parigi e fassi cristiano, così la protagonista immersa in tanta commerciale religiosità, e in tanta miserevole umanità ignorante e superstiziosa, scopre il Dio nascosto.

Lourdes è uno spettacolo divertente e profondo, viziato un poco da un finale scontato, sebbene, come detto, comprensibile. Non è l’opera che più si adatta alla pelle di Andrea Cosentino, ma che certo solo Andrea Cosentino poteva rendere così accattivante e profonda. Molto azzeccate le musiche originali eseguite in scena di Danila Massimi.
www.recensito.net, 28 settembre 2017

Divertente, ironico, irriverente: così possiamo definire lo spettacolo “Lourdes” di Luca Ricci che inaugura il ricco ed intenso week-end milanese al Teatro Grassi di Milano nel segno del Festival Tramedautore. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo del 1998 di Rosa Matteucci, “Lourdes” si presenta come uno spettacolo provocante e provocatorio: uno sfacciato pellegrinaggio in un luogo che amalgama sacro e profano, religione e tradizioni popolari in cui Andrea Cosentino veste i panni di una “dama di carità” accerchiata da una “schiera” di personaggi inverosimili ed irrazionali, che tanto fanno ridere il pubblico. Nel libero adattamento di Luca Ricci, un esilarante e strepitoso Andrea Cosentino dà vita a una spassosa sarabanda di personaggi, ciascuno con i propri desideri ed illusioni, tutti in viaggio verso Lourdes, tutti in attesa di un miracolo. Un monologo ritmato e ricco di sfumature quello di Cosentino che si avvale delle musiche originali eseguite dal vivo da Danila Massimi. Uno spettacolo che alla fine commuove lo spettatore messo di fronte ad una grande verità. Talvolta infatti siamo così presi dalle apparenze che confondiamo il disegno divino con la nostra presuntuosa arroganza. Ciò che forse ha reso ancora più speciale la rappresentazione milanese di “Lourdes” è stato il racconto in prima persona dell’autrice del romanzo, Rosa Matteucci ad introduzione dello spettacolo. (…)
www.minimaetmoralia.it, 9 marzo 2016

Se c’è un posto che evoca non solo la fede, ma anche la speranza che la fede possa incidere fisicamente sulle nostre esistenze terrene, quel posto è Lourdes. Ma allo stesso tempo il santuario francese si porta dietro tutta la miseria terrena, fatta di corpi laceri, superstizioni, e dell’inquietante meccanismo “turistico” che inevitabilmente si innesca nei luoghi di culto più conosciuti.

Sarà per questo che il pellegrinaggio surreale di Maria Angulema, al centro del romanzo di esordio di Rosa Matteucci, uscito nel 1999, ha suscitato da subito un entusiasmo trasversale. Perché nella sua scrittura potentemente comica, ma allo stesso tempo attenta alle inquietudini mai risolte dell’animo umano, confluiscono tutto il grottesco e tutto il tragico di cui abbonda un luogo dove i confini della religione toccano la sfera delle credenze popolari.

A più di quindici anni di distanza dall’uscita del libro ci pensa un genio comico irregolare e irresistibile come Andrea Cosentino a trascinare sulle assi del palcoscenico una storia che – stando a metà tra la confessione interiore e l’affresco corale – sembra fatta apposta per il suo teatro di personaggi improbabili e macchiette surreali.

L’idea è venuta al regista Luca Ricci, che ha fatto indossare a Cosentino i panni di una “dama di carità” e ha dato vita a uno spettacolo caustico e divertente, vincitore del festival “Teatri del Sacro” 2015.

Cuffietta in testa e divisa, Maria Angulema intraprende un viaggio per chiedere conto a Dio del “fardello di dolore” che si porta appresso da quando il padre è morto in un incidente stradale, e possibilmente restituirlo al mittente. Sentimento umanissimo, come quello che spinge i malati e menomati di ogni forma a cercare il “miracolo” a contatto con l’acqua benedetta di Lourdes.

È così che Maria Angulema si troverà immersa in una massa umana di malati veri, malati finti, sorelle di carità, portantini e pellegrini – vite e destini differenti, tanto assurdi quanto profondamente umani.

In fondo è dalla notte dei tempi che l’uomo si chiede che ci sta a fare il dolore in un mondo creato da un Dio giusto, tanto è vero che perfino la Bibbia, col mito di Giobbe, cerca di darne spiegazione. Ma siccome una spiegazione non esiste – almeno non una spiegazione che possa davvero alleviare i dubbi delle nostre precarie esistenze – il risultato di questa impresa impossibile può avere risvolti tragici, oppure assolutamente comici.

Andrea Cosentino è maestro nel tenere assieme questi due aspetti della vita, grazie al suo teatro che fatto di tante voci pur essendo lui da solo sulla scena. Con l’accompagnamento musicale di Danila Massimi, Cosentino ci porta per mano lungo un campionario memorabile di miserie umane, grazie alla sua narrazione sbilenca e irresistibile, comica e dolcissima al tempo stesso.

E ci conduce, quasi senza che ce ne accorgiamo, verso l’illuminazione finale difronte al mistero della vita e del dolore, un’illuminazione che dai tempi di Giobbe o di Sant’Agostino è da sempre la stessa, e cioè: tu, uomo mortale chiuso nei confini invalicabili della tua finitezza, come pretendi di poter comprendere con la logica umana la grandezza della Creazione?
www.artapartofculture.net, 3 marzo 2016

Nel ’98 Rosa Matteucci esordisce per Adelphi con Lourdes, suo primo romanzo.

Qualche folto anno dopo Luca Ricci, fondatore e direttore artistico di Kilowatt Festival, riadatta il testo presentandolo ai Teatri del sacro.

Lourdes viene inserito poi nella programmazione del Teatro Orologio, a Roma, seguito dall’osservatorio critico di Dominio Pubblico, un bel progetto che coinvolge anche l’Argotstudio.

C’è Andrea Cosentino, c’è una panca da spogliatoio e nel buio affoga Danila Massimi che si interfaccia con la scena utilizzando dal vivo i propri strumenti del mestiere. C’è anche una bottiglietta con l’acqua santa a forma di madonnina da cui l’attore attinge per dissetarsi quando la musica lo sovrasta.

Un’ora esatta.

La storia è quella di una dama di carità e delle motivazioni che l’hanno spinta ad affrontare un pellegrinaggio collettivo verso Lourdes. I toni sono esilaranti e la narrazione scorre piacevolmente dalla bocca di un Cosentino esatto, presente, lucido e camaleontico.

Lui è fotografato ad apertura nel momento della discesa dentro la vasca sacra, quella dell’apparizione mariana in cui si domanda qualcosa a un ente invisibile. A chiusura torneremo a quel momento, in modo circolare, mentre tutto quello che avviene nello spazio di mezzo è un corpo vestito da dama di carità, pressoché immobile, che soltanto attraverso un utilizzo minuzioso della narrazione orale, rende il carnevale di una serie di fatti occorsi durante il pellegrinaggio tra anziane zoppe da sorvegliare al gabinetto, croste purulente disciolte nelle vasche delle immersioni sacre, beghe tra comari pie, usi e costumi propri della devozione peregrina.

Cosentino questa volta è diretto da un’altra mano e l’esigenza del racconto non è la sua. Privato perciò dell’autorialità drammaturgica ci troviamo di fronte a qualcosa di molto nuovo.

La sua partecipazione alla scrittura scenica è molto comoda da odorare: la firma si riconosce, se ne riconosce anche il ritmo serrato ma dominato e la riflessione che ne scaturisce è sorprendente quanto probabile.

Che un autore protagonista del teatro d’avanguardia abbia fatto spazio all’umiltà di essere diretto, che oltre ai propri progetti lasci una fessura per le collaborazioni a cui prestare il fianco e che si ponga ancora, in un’età non proprio vergine, in una posizione di cooperazione il cui risultato è unitario e brillante e non liquefatto e artificioso come spesso lo spettatore è abituato a subire, dimostra quanto siano necessarie, per perseverare in questo lavoro, una intelligenza emotiva e una misura del proprio ego.

Ci auguriamo dunque che anche le grandi produzioni ricoperte d’oro e fregiate del titolo di avanguardia, un giorno, pensino di poter cooperare con chi li possa accompagnare verso l’unità e l’onestà del saper raccontare, per un’ora, un fatto che si veda con gli occhi attraverso una banalissima prosa.
www.recensito.net, 1 marzo 2016

Un viaggio, qualsiasi sia la sua destinazione, cela sempre un’aspettativa di conversione, di cambiamento, di riempimento e, se si è fortunati, di miglioramento. E tutti i personaggi portati in scena dall’unico protagonista dello spettacolo, Andrea Cosentino, rivelano ognuno la medesima e sentita attesa: un miracolo.
“Lourdes”, adattato dal regista Luca Ricci dall’omonimo romanzo d’esordio di Rosa Matteucci, diviene il viaggio della speranza di tutti coloro nascondano l’intimo desiderio di riscatto da una vita che non ha ancora concesso nulla.
A raccontare, attraverso la voce e il corpo di Andrea Cosentino, l’esasperante ed esilarante pellegrinaggio verso la sospirata Lourdes è Maria di Orvieto, donna dalle dubbie intenzioni ma animata dalle medesime speranze dei numerosi e bizzarri passeggeri del treno, che rivela, stazione dopo stazione, personaggio dopo personaggio, il suo profondo e commovente desiderio di riconciliazione con se stessa, dopo la morte del padre. Aldilà della divertente, a tratti ridondante, rassegna degli svariati e grotteschi personaggi in viaggio anche loro verso Lourdes, il personale cammino di conversione dell’improvvisata crocerossina Maria termina con una ritrovata fede che non è solo religiosa ma anche, e soprattutto, profondamente umana, sorretta da un animo finalmente riconciliato con se stesso.
L’attore e co-autore Andrea Cosentino porta in scena, nella solitudine del un palco scarno e fievolmente illuminato della Sala Gassman dell’Orologio, l’intima e ardente volontà dell’uomo di scorgere, tra le infinite strade sterrate della vita, quella che conduce all’unica vera ambizione umana: la felicità.
Il viaggio, qualsiasi sia la sua destinazione, altro non è che la metafora perfetta per esprimere tale desiderio e Cosentino, nel suo, è affiancato dalle musiche, misticamente avvolgenti, eseguite dal vivo da Danila Massimi, un’altra dei passeggeri di questo bizzarro e sentito viaggio verso Lourdes.
L’Unità, 29 febbraio 2016

Il teatro di narrazione, quando riesce a reinventarsi con fantasia ed originalità, può regalare delle belle «chicche». Lo sa bene Andrea Cosentino che da una vita ormai non fa che inanellare un personaggio dopo l’altro, sempre fra il tragico e il comico, presentati al pubblico in forma di monologo (tra i suoi lavori ricordiamo Antò le Momò, L’asino albino, Angelica). Era da un po’, lo ammettiamo, che non ci capitava di seguirlo e siamo felici di averlo fatto ora perché lo spettacolo che in questi giorni lo ha visto protagonista al Teatro dell’Orologio – Lourdes, dall’omonimo libro di Rosa Matteucci, con la regia di Luca Ricci, spettacolo vincitore de «I teatri del sacro» – è una gradevole sorpresa, che ci riporta indietro ai suoi primi lavori ma che guarda anche avanti con l’aggiunta di ritratti colorati e buffi arricchendo la sua già ben nutrita galleria.
Stavolta però Cosentino si lascia dirigere da Luca Ricci, che firma anche l’adattamento. Ed è stato proprio Ricci – fondatore della Compagnia Capotrave con Lucia Franchi e direttore artistico di Kilowatt – a tirare fuori il libro di Rosa Matteucci, Lourdes, appunto, pubblicato dall’ottima casa editrice Adelphi nel 1998.

Dal libro alla scena
La storia è stata ovviamente asciugata e riscritta per la scena, ma il cuore del testo resta: il viaggio di Maria Angulema verso Lourdes. Maria, dopo la morte improvvisa del padre, vuole assolutamente «chiedere formale spiegazione e magari soddisfazione di tanta sofferenza al Padreterno». E dunque cosa fa? Parte per la città meta di tanti fedeli. Ma non sarà sola. Le farà in compagnia di una «folla rumorosa composta da pellegrini, parenti dei pellegrini, malati veri, parenti e familiari dei malati veri, malati finti, parenti e familiari dei malati finti, curiosi, sfaccendati, militari in libera uscita, puttane nigeriane, dame o sorelle di carità, barellieri o fratelli».

I personaggi
Ed è proprio nel modo in cui dipinge questi personaggi che sta la forza di Cosentino. Luca Ricci lo sistema su un piedistallo, seduto in panchina, con le mutande bianche e le gambe accavallate. In quella posizione Cosentino/Maria torna indietro nel tempo, a quando con la famiglia andava al mare, e dal suo viaggio all’indietro comincia il racconto del pellegrinaggio a bordo di un treno popolato da figure meravigliose come la smutandata Michelina o la studentessa innamorata di Raul Bova, dallo spagnolo Gonzalo Goméz – del quale s’invaghisce Maria – all’infermiera sbrigativa. Ognuno ha il proprio tratto caratteristico, dal modo di parlare al gesto, e vederli uno di seguito all’altro ci fa sorridere e gridare quasi al miracolo – visto che siamo in tema – per aver assistito ad uno spettacolo fatto con pochi mezzi ma con talento e con una fede vera: quella per il teatro.
Lourdes, quindi, ha un ritmo tutto suo ben misurato e armonico, spezzato solo dalla musica live di Danila Massimi, e procede dritto per dritto fino alla fine, con una conclusione senza dubbio imprevista. Ma che forse lascia il pubblico un po’ interdetto. Comunque, se vi capita, non perdetelo.
www.gufettopress.it, 27 febbraio 2016

Il termine di ogni viaggio coincide sempre, tra le altre cose, con la somma delle esperienze di vita incontrate, dei dialoghi intrattenuti, degli imprevisti più o meno agevolmente superati. L’epifania della meta raggiunta, quando una meta c’è, risulta essere infine sempre un po’ avulsa da tutto il resto, avvolta in una patina di suggestione ed aspettative, coronata dalla necessità di un sigillo finale.
Così avviene in LOURDES, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Rosa Matteucci edito nel 1998 da Adelphi e già vincitore lo scorso anno del festival I Teatri del Sacro, ora nuovamente messo in scena da Luca Ricci al Teatro dell’Orologio, dove è in replica fino a domenica 28 febbraio.
Unico interprete, Andrea Cosentino ritrae energicamente non solo la donna protagonista della vicenda, ma anche tutte le figure che la attorniano e con le quali entra in contatto, divenendo spettatrice lei stessa di una babele di caratteri difformi e stravaganti, accomunati da una medesima necessità di rivalsa o, forse più semplicemente, solo di speranza. Quello proposto dallo spettacolo è il viaggio per eccellenza, il viaggio dei miracoli, narrato da una dama di carità che decide di intraprendere il percorso per trovare un senso a quello che tra i dolori è il più grande, il dolore della perdita di una persona amata. Nel suo caso quella del padre.
Lungi dall’essere un dramma dai toni dolorosi, LOURDES è un itinerario nel comico che qualifica l’umanità anche e proprio nei contesti di maggiore religiosità. L’esistenza di provincia che i personaggi conducono enfatizza il buffo, facendo emergere caratteri tipici di un folclore ad ogni spettatore di sicuro ben noto. Dalla stazione di Orvieto, Maria parte come dama di carità, con l’intenzione di giungere nel luogo santo a chiedere spiegazioni circa l’assurda morte del genitore.
Se le intenzioni di partenza sono serie, ben meno rivela esserlo la piega che prende il viaggio. Personaggi tanto esemplari quanto ridicoli e divertenti mettono a dura prova la pazienza della donna. Prime fra tutte due cugine diabetiche e bisbetiche, animate da una certa rivalità e dallo spirito del capriccio che contraddistingue talvolta l’età avanzata. Si scontrano, battibeccano e concorrono a rendere particolarmente difficile il viaggio di Maria. Altro personaggio emblematico è Marino, che si fa sovente animatore del gruppo proponendo barzellette all’altoparlante e che sarà poi colui che metterà fine all’illusione di un nascente amore da parte della donna. Quelli che Maria incontra non sono i veri bisognosi di aiuto ai quali aveva pensato intraprendendo il viaggio, ma uomini e donne in cerca della risoluzione di un qualche proprio disagio nel quotidiano, vittime di un’esistenza talvolta burlona, pronti a giocare l’ultima carta importante per ottenere il proprio miracolo. A calare l’asso, come consiglia la stralunata compagna di stanza alla dama di carità.
Lo spettatore incontra Maria svestita dagli abiti della sua missione, in attesa che vengano riaperti i cancelli del luogo santo. La donna inizia a cantilenare la storia presente ancorandola al passato dell’infanzia. Indossa dunque i panni dell’incarico intrapreso e ripercorre la vicenda, il tragitto dal principio al momento attuale. Dopo aver riso delle sue sventure, il pubblico la ritrova nel medesimo punto del palco ed assiste alla conclusione del suo personale pellegrinaggio, quando ormai, estenuata e malridotta, sembra aver rinunciato a dar soluzione al suo conflitto di fede. Nel mezzo la processione di personaggi della quale si è detto.
A costituire la scenografia della messa in scena solo una pedana rialzata sul lato sinistro del palco, sopra la quale trova collocazione la sedia del racconto di Maria e, sopra di essa, l’appendiabiti sul quale è conservata la bizzarra divisa. Ad accompagnare lo spettacolo invece, assecondandone le modulazioni umorali, sono la voce e la musica dal vivo di Danila Massimi, che alternano toni dalla solennità clericale ad altri di maggior leggerezza, avvicendando l’utilizzo di un abbondante numero di insolite percussioni. LOURDES è dunque un viaggio, un pellegrinaggio consigliato a chiunque trovi nella partecipazione al fluire dissacrante di certi racconti e nel divertimento che ne deriva la forma più compiuta di religiosità.
www.femaleworld.it, 25 febbraio 2016

Il teatro di Andrea Cosentino conserva e recupera quel tanto di teatro dell’assurdo caro ad Alfred Jarry, il suo modo di porsi stralunato e distaccato fa dell’artista/performer abruzzese un punto di riferimento per le recenti generazioni teatrali. Lourdes ultima sua creazione/interpretazione nata – opera vincitrice de I Teatri del Sacro 2015 – tratta liberamente dal romanzo omonimo, esordio letterario di Rosa Matteucci (Adelphi 1998) ed adattata per il teatro insieme a Luca Ricci, direttore artistico di Kilowatt e fondatore della compagnia CapoTrave che ne cura anche una meticolosa e delicata regia. Una carrellata tragicomica di personaggi e situazioni che popolano il prodioso viaggio in treno verso la nota cittadina francese ad opera della protagonista. Irriverente e grottesco, lo spettacolo ha quel tale fascino, che anche in chi non è credente possa smuovere la coscienza e far ragionare seriamente circa quel cammino/viatico verso la salvezza, verso la guarigione, sia essa fisica o morale. Quel luogo incantato ha di per sé un misterioso fascino che seppur la guarigione non dovesse avvenire comunque si è riconciliati con la natura ed il prossimo.
Viene da pensare al ferocissimo omonimo film di Jessica Hausner del 2009, in cui anche lì la protagonista inchiodata ad una sedia a rotelle giunge insieme ad un gruppo di pellegrini in quel luogo magico chiamato Lourdes per chiedere la grazia della guarigione, così Maria Angulema, che non ha nessun handicap, ma che si fa dama di carità e non crocerossina come tutti la vorrebbero, per chiedere alla Madonna un miracolo: le ragioni di un fardello troppo grosso che ha condizionato parte della sua vita, i motivi della morte di suo padre, a lei tanto caro. Una giovane decaduta marchesa che si umilia ad un ruolo che non le compete, oltreché compiere un viaggio dentro la propria più profonda intimità che la condurrà ad un introspezione definitiva che l’aveva portata al fallimento della sua via e della propria nobile famiglia. Un percorso interiore quello che compie Maria da Orvieto a Lourdes – accompagnata da demoni umani dall’insensibilità spaventosa e crudele, anche se non manca l’apparizione di un angelo sordomuto sotto le spoglie di un barelliere latino/americano – che la guiderà in una notte piena di luce verso la grotta di Massabielle alla presenza di una statua bianca ma silente di una Madonna impietrita.
Ritrovatasi nella miracolosa piscina che aveva disprezzato e avversato ma le cui acque ritrova immacolate e limpide, lì a quella fonte miracolosa, la donna ritrova se stessa e quelle risposte alle tante domande senza un perché, ritrova le motivazioni di un fallimento esistenziale, forse, ritrova anche una rinnovata e spontanea fede che diventa un inno alla vita e al ricominciare laddove un blackout le aveva fatto smettere di sperare. Andrea Cosentino da vita ai tanti personaggi compresa una estraniante affabulazione finale, ma la sua Maria è di una straziante umanità, portatrice di una indicibile verità che nessuno osa pronunciare, commuove col riso sulle labbra e divide strategicamente il palcoscenico con le percussioni e la voce appassionata e preziosa di Danila Massimi. Una piscina al contrario di solida acqua sulla quale ergersi come Cristo in tutta la sua paura di vivere e di meritare un qualche affetto, il suo ingresso alla purificazione è un azione al contrario, la negazione sta per affermazione, ospite e padrona di un qualcosa che le spetta di diritto come ogni diritto di civile dignità e rispetto.
http://cheteatrochefa-roma.blogautore.repubblica.it, 24 febbraio 2016

Muovendosi dalla crudezza oscena di una realtà imperfetta e deforme verso le sublimazioni estetiche della spiritualità e del pensiero, oscillando costantemente fra carne e sudore, purezza e poesia, Lourdes fonde il sapore acre di visioni grottesche e oniriche con il gusto dolciastro del comico che sfiora e lambisce le rive del lirismo poetico, per giungere al cuore del dramma umano più intimo e disperato. Utilizzando il tono graffiante dell’ironia caustica e dissacrante, Andrea Cosentino entra con movimenti frenetici in un carosello tragicomico di marionette isteriche: un’umanità ridotta in macerie sanguinanti, ritratta come un bestiario multiforme, erge il suo mutilato spirito alla ricerca della luce. Fra pezzi di vita e di morte, le umane meschinità si dimenano in un’altalena di verità ripugnanti mentre la parola, declinandosi in tortuose circonvoluzioni di voci, evoca atmosfere al contempo caustiche e malinconiche, si alza al di sopra del reale in un caos di preghiere, risate e lacrime. Maria Angulema, protagonista dell’omonimo romanzo d’esordio della scrittrice orvietana Rosa Matteucci, intraprende un viaggio verso Lourdes come dama di carità per chiedere alla Madonna una spiegazione sulla morte improvvisa del padre. Attorno a lei sfila, come una sarabanda di gustose caricature, la chiassosa carovana di credenti e pellegrini in viaggio, raccontando il dramma di una consumata e consueta distruzione spirituale che la partecipazione al rito e la cerimonia religiosa vorrebbero occultare e negare; stravolte e straniate, inghiottite e divorate dalla falsità del turismo religioso, le maschere dell’Uomo si fanno scheletro dell’anima a cui miseramente il corpo tenta di aggrapparsi. Dal buio della vita alla luce della morte. E mentre la dissacrazione più cinica si rovescia lentamente nel suo contrario, la dimensione comica e giocosa della parola ha un contraltare tragico nella musica (l’esecuzione dal vivo di Danila Massimi) che riconduce al sacro e riporta l’attenzione all’aspetto più profondo del testo. Conclusione beffarda: la derisione più spietata conduce infine a una totale fiducia e conversione. La fede non è dunque un baluardo di speranza da ricercare oltre se stessi ma una riconquista dell’anima straziata, raggiunta attraverso le sue ferite. La disgrazia e la grazia convivono nello stesso corpo. L’orrore si placa con l’amore: l’esistenza senza scopo, grondante di squallore e lacrime, placa il suo tormento protendendo il volto verso i campi sterminati dell’infinito e della luce.
www.quartaparetepress.it, 23 febbraio 2016

Il rapporto senza vincoli con più personaggi, misto a osservazione disincantata e ricerca sul dinamismo espressivo linguistico, fanno parte della riconoscibile cifra autoriale ed interpretativa di Andrea Cosentino, attore, regista e drammaturgo di un teatro di narrazione che è attento e spigliato scrutatore di contemporaneità.
Al Teatro dell’Orologio, per la rassegna di Dominio Pubblico, egli è testimone al femminile di Lourdes, spettacolo vincitore de “I Teatri del Sacro 2015”, coprodotto da Kilowatt Festival, Pierfrancesco Pisani e Infinito srl., nato da un libero adattamento scenico del testo omonimo di Rosa Matteucci (edito da Adelphi nel 1998), che vede un’inedita collaborazione con Luca Ricci, anche regista, per una comune scrittura scenica disinvolta, rapida, seriamente divertente.
Dall’alto di un piccolo palco su cui poggia una seduta di ferro, Cosentino veste (letteralmente) il costume di ordinanza di Maria, avventizia dama di carità diretta nella francese località di culto, affiancata da singolari e invadenti compagni d’avventura incontrati durante il tragitto (due cugine diabetiche e bisbetiche, una giovane sibilante e svampita, una coppia di fidanzati vagamente coatti).
Non servono virtuosismi scenici per veicolare l’attenzione spettatoriale su quello che da lì a poco sarà un pot-pourri (quasi) surreale di caratteri, accenti, eventi: l’espressività vocale, posturale, facciale di Cosentino fanno di un racconto di stramberie itineranti una sequenza concatenata di profili, di luoghi, di attitudini. La narrazione è rappresentazione – non solo esposizione orale – di un’umanità in viaggio, tra compassione e individualismo: dalla partenza in treno, con i piccoli fastidi e le immancabili scomodità dovute all’angusta convivenza, all’arrivo a destinazione e la processione rituale; dalle lamentele dei “malati finti” e la riservata sofferenza di quelli “veri”, fino all’intimità del dramma privato e famigliare di Maria, all’innamoramento presunto e reale, per il barrelliere spagnolo Gonzalo, e all’esperienza a noi confidata del suo rapporto diretto, sacro, con il Padreterno.
L’uso della parola – aulica e vernacolare – associato a un ritmo spesso elevato, serrato, crea, a livello linguistico, buffi contrasti tra rapide inflessioni dialettali e più lente e scandite terminologie liturgiche; a livello dietetico, un intreccio di dialoghi/monologhi dai quali fuoriescono descrizioni fisiche dettagliate, circostanze banali e grottesche, battibecchi geriatrici e strategie sarcastiche e ciniche.
C’è poi una soavità di suoni che a questo flusso narrativo dà momentaneo riposo: le originali musiche composte ed eseguite dal vivo da Danila Massimi, che s’intervallano alle parole per assumere anche il ruolo di commento melodico dei fatti, e coinvolgente sottofondo di un carnevale in soggettiva che si snoda tra azioni (reazioni) e situazioni quotidiane comprensive d’imprevisti comici, di incontri più o meno eccezionali, e di non troppo piacevoli compiti assistenziali.
Da una sola voce e da un solo corpo attoriale prende vita una chiassosa, bizzarra, autentica sequenza di personalità, compresi i vari parenti di sedicenti infermi, curiosi con qualche acciacco, turisti, collaboratori, fedeli, che s’intravedono nei pressi della Grotta delle Apparizioni: tutti in cerca o in attesa di intervento divino. Perché, in caso di miracolo, meglio farsi trovare pronti.
www.ilgrido.org, 22 febbraio 2016

I grandi occhi spalancati di Andrea Cosentino raccontano di speranza e sgomento, perplessità distaccata, ironico cinismo ed estasi mistica. Occhi che osservano e che incarnano il singolare campionario antropologico che viaggia verso Lourdes: malati più o meno immaginari, storpi e sciancati, vecchie bizzose e incontinenti, preti armati di megafono, esotici barellieri e salumieri burloni. Poi c’è lei, la protagonista: rassegnata “dama di carità” volontaria, sconfortata in cerca di conforto; incongrua crocerossina, ingessata in ridicoli abiti da suora laica, le candide ciabatte da ospedale e un lutto ancora da elaborare. Si sente un corpo estraneo nella folla di fedeli, pur essendone ella stessa, in fondo, parte integrante.
Dipingendo a parole lo squallore delle cuccette sul treno, il clima da gita e le file di carrozzelle che si addensano verso il santuario, l’attore entra ed esce agilmente dalla protagonista, per dar voce ai variegati personaggi in pellegrinaggio. Da un incontro felice tra Cosentino, la compagnia CapoTrave con il regista Luca Ricci e l’omonimo romanzo di Rosa Matteucci, affiora un bellissimo monologo, Lourdes, meritatamente fra i vincitori dell’edizione 2015 dei Teatri del Sacro. Una raffica verbale che è litania e flusso di coscienza, dai vivaci accenti e dai toni spiritosi e amari anche molto divertente. Mentre l’attore beve sorsi di acqua miracolosa dalla bottiglietta a forma di madonnina, Danila Massimi canta suonando arcani strumenti a percussione: una presenza sommessa ma significante, che delinea il colore, l’atmosfera e la suspense nelle diverse tappe dello spettacolo.
Il percorso della protagonista è un confronto con se stessa, con gli altri, con la fede: da cui emergono dubbi, frustrazioni, ostilità. Attraverso la cerimonia circolare di vestizione e svestizione, nel corpo rannicchiato e infreddolito sulla sedia ridotta ad un’anima di metallo alta e sottile, vengono messe a nudo le proprie debolezze. E un finale inatteso, che non si chiude di fronte al mistero.
http://modulazioni-temporali.webnode.it, 22 febbraio 2016

Maria Angulema è pronta a lasciare Orvieto e a intraprendere il viaggio che la porterà verso Lourdes. Con indosso le sole mutande si ritrova poi, improvvisamente, nei panni di dama di carità e alle prese – durante le varie tappe del viaggio – con tanti e strambi personaggi, tutti in attesa e speranzosi in un miracolo.
Con un caratteristico accento umbro, Andrea Cosentino dà magicamente voce al dolore attraverso una sfilza di preghiere e nenie che aprono, negli occhi della mente dello spettatore, situazioni ridicole e tragicomiche. Solo dopo un lungo flashback si ritornerà alla scena iniziale, una immersione miracolosa e purificatrice. Essendo, lo spettacolo, ispirato all’omonimo romanzo di Rosa Matteucci (Lourdes – Adelphi, 1998), la sfida maggiore è quella di portare sulla bocca di un uomo le parole di una donna – intrise di sentimenti di paura, insicurezza e sdegno – e a Cosentino riesce magistralmente bene. Un viaggio tra miscredenza e riappropriazione della fede, in cui l’obiettivo principale della protagonista è chiedere al Padreterno il motivo della morte inutile di suo padre in un incidente stradale ma, inaspettatamente, proprio a Lourdes le capita anche di innamorarsi.
L’adattamento e la regia sono di Luca Ricci, la meravigliosa voce dal vivo è quella di Danila Massimi (componente della compagnia poetica di Ilaria Drago) che – accarezzando i suoi strumenti a percussione – accompagna le parole di Cosentino creando un’atmosfera surreale nella piccola Sala Gassman del Teatro dell’Orologio.
Lourdes è vincitore de I Teatri del Sacro 2015. Non mancate!
www.paperstreet.it, 19 febbraio 2016

Nel nome del Senso di colpa, del Pentimento e dell’Espiazione. Amen.
Non è forse questa la vera trinità che si staglia sull’esistenza dei cattolici (più o meno) praticanti?
Con Lourdes – spettacolo liberamente tratto dall’opera di Rosa Matteucci (Adelphi, 1998) – Andrea Cosentino e Luca Ricci (adattamento e regia) vanno in cerca di risposte. In scena, rannicchiata sulla propria conversione, c’è Maria: un’esistenza di provincia, una donna che cela dietro l’apparente semplicità vernacolare un disperato desiderio di reagire al dolore. Il dolore della perdita, il dolore della rinuncia, il dolore della negazione. Così, mentre Cosentino si veste delle intenzioni di Maria, si scopre che la donna ha un piano preciso per poter rivolgere direttamente all’Onnipotente una sola ma fondamentale domanda: “Embè?”
Per effetto del canonico sacrificio a priori che s’impone a chi voglia elevarsi a (qualunque) Dio, Maria arruola il suo dolore nell’esercito delle dame di carità che accompagnano i pellegrinaggi a Lourdes. Inizia così il viaggio verso la santissima meta, classica metafora di evoluzione e trasformazione, che si consuma insieme alla sfilata di umanità popolar-grottesche dei pellegrini d’occasione: una carrellata di piccole ipocrisie in cerca, ognuna, del proprio miracolo. Mentre Andrea Cosentino balza da un personaggio all’altro con l’agilità della voce e l’equilibrio della parola, diventa sempre più chiaro che esiste un’unica preghiera di guarigione che raccoglie tutti, storpi nel corpo, quanto ammalati nello spirito. Maria, le vecchie diabetiche e smutandate, il bel sordo-muto e tutti i passeggeri di questa carovana sulla via (che fu) di Damasco sono alla ricerca di uno sconto sull’imposta al dolore aggiunto che grava già sul costo ben alto della vita terrena.
Lourdes è un dispositivo drammaturgico che funziona – volutamente – come la fede della domenica: a intermittenza; la vis ironica di Cosentino si affievolisce solo quando le musiche di Danila Massimi invadono il campo della parola, ora con solennità clericale, ora come contrappunto etnico; il ritmo della narrazione però, pur frammentandosi tra dialogo e monologo, tra racconto in prima e terza persona, riesce a fare di queste dissolvenze una forza.
Cosentino e Ricci tracciano una linea di azione circolare ma frastagliata che alla fine riconduce al punto di partenza: avere fede vuol dire obbedire, accettare il dolore e annullare l’esistenza nell’angoscia del peccato? Probabilmente no. Eppure a tutti, anche ai più atei, capita di aver bisogno di una immaginetta da simulacro a cui poter sputare in faccia il proprio “Embè?”.
www.altrevelocita.it, febbraio 2016

Con i suoi inventivi flussi fatti di mille personaggi (Angelica, Not here not now, Primi passi sulla luna per citare alcuni degli esiti migliori), Andrea Cosentino ci ha saputo regalare delle gustose e lungimiranti caricature sull’uomo contemporaneo. Capacità che ha di recente confermato in Lourdes, questa volta non uno spettacolo da lui scritto e diretto, bensì firmato dalla regia di Luca Ricci e prodotto da Teatri del Sacro.
Quello di Cosentino verso Lourdes è un viaggio che inizia in mutande – anche se in realtà l’inizio di questo spettacolo è la fine della storia, perciò sarebbe meglio dire che è la fine del viaggio ad avvenire in mutande. Ma in fondo è il viaggio a contare più della meta: Cosentino impersona una donna, Maria Angulema, recatasi nella città dei miracoli per chiedere alla Madonna le ragioni della morte di suo padre. È il racconto in flashback del viaggio a impegnare tutta la narrazione: riscrittura teatrale dell’omonimo romanzo di Rosa Matteucci, Lourdes ironizza sui credenti e i pellegrini, raccontando la grottesca odissea di un gruppo di compaesani storpi e diabetici che dalla remota provincia dell’Umbria vogliono immergersi nelle acque sante che curerebbero tutti i malanni. Acque che sembrano però piene di peli e di pus, che sono accessibili dopo avere passato una lunga fila gerarchizzata da guardiani in divisa, acque che perdono insomma la loro spiritualità, divorata dal turismo religioso. In questo monologo assurdo ma non troppo lontano dalla realtà, Maria sembra l’unica persona pura: si reca a Lourdes come dama di carità, ma è troppo impegnata per trovare il tempo di dedicarsi a quello che definisce il suo «fardello», il pensiero della morte del padre. Dopo scene esilaranti come l’innamoramento platonico per il matto Gonzalo e l’abbandono senza indugio di un’anziana per non perdere il treno, Maria arriva infine nella grotta dove avviene l’improvvisa folgorazione: si denuda e sfiora l’acqua santa, sente l’amore universale, comprende Dio, lo ringrazia per il suo «fardello» e si pente allo stesso tempo di quella «gioia immeritata». Un finale che riesce a farci capire quanto bruscamente può arrivare quell’illuminazione spirituale che solo gli autentici credenti raggiungono.
Per quanto difficile da adattare al teatro, Lourdes è un testo letterario incentrato sui temi che agitano da sempre Cosentino – come la religione e la morte, affrontate con corrosiva ironia – e infatti l’attore spicca per la sua capacità di recitazione frenetica ed espressiva ma mai scolastica, riuscendo a rimanere un autentico attore-autore che fa della sua condizione marginale – quella che lo lascia “in mutande” – un valore per rimanere sul palcoscenico con intelligenza e talento da più di 15 anni.
www.ravennanotizie.it, 18 gennaio 2016

La rassegna teatrale Scena Contemporanea continua con “Lourdes”, spettacolo di Andrea Cosentino e Luca Ricci tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Rosa Matteucci, coprodotto dalla compagnia aretina CapoTrave/Kilowatt. Andrea Cosentino entra in scena in mutande e sale su una struttura rialzata, che si erge a sinistra del palcoscenico. Si siede su una panchina di legno, che potrebbe ricordare quella di uno spogliatoio, unisce le ginocchia in posa femminea e comincia a recitare qualche preghiera a mezza voce, con un forte accento umbro. Si tratta di Maria Angulema, protagonista del romanzo d’esordio dell’autrice orvietana Rosa Matteucci, che ha deciso di intraprendere un lungo viaggio in treno verso Lourdes come volontaria dama di carità per chiedere alla Madonna spiegazioni sulla morte improvvisa del padre. Nel flusso di coscienza, frammisto di preghiere interrotte e parole dialettali smozzicate, si intuisce subito che la cronologia della fabula non coincide con l’intreccio: stiamo infatti assistendo alla fine di questo pellegrinaggio. Maria sta aspettando, svestita, di entrare nelle piscine sacre di Lourdes – luogo in cui si è ritrovata per caso, come scopriremo più avanti. Maria sbuffa, pensa alla sporcizia delle piscine, ha freddo: torna con la mente a quando, da piccola, i suoi genitori ridotti in povertà la portavano al mare. La figura del padre che mangia un panino con la frittata sulla spiaggia: ed ecco che il meccanismo della memoria devia l’ordine naturale del racconto. Maria si riveste e ripercorre la tragica morte del padre, la decisione del pellegrinaggio, la descrizione dell’improbabile viaggio in treno e l’arrivo a Lourdes, in un unico, lungo flashback che sarà lo spettacolo stesso. Ritroveremo la nuda Maria in attesa del bagno salvifico solo alla fine della storia. Storia che viene schizzata con bravura dall’eloquio balbettante e nervoso di Cosentino. Lourdes è un racconto fatto di macchie di colore, di particolari bruti e iperrealistici, di quadri grezzi e sbilenchi come il dialetto umbro, usato per dare voce a personaggi altrettanto deformi e tragicamente comici. Il testo dello spettacolo deve molto alla drammatizzazione di Cosentino e all’adattamento di Ricci, che cercano in tutti i modi di rendere comico un linguaggio che, per certi versi, si presta alla risata, basato com’è sull’accumulo esponenziale e spietato di aggettivi e avverbi. Tuttavia, s’intuisce da certe caratteristiche che la mano è quella femminile della Matteucci. Il soffermarsi, ad esempio, su certi particolari orridi e scabrosi, l’ossessione igienista per gli umori corporei di ogni tipo, la misoginia efficace e crudele proprio perché alleggerita da quella sotterranea attrazione sempre latente nell’universo maschile: tutti questi sono tratti che, inequivocabilmente, portano la firma di una donna. Impossibile, per un uomo, tratteggiare con miglior cura e spietatezza psicologica il momento meglio riuscito dello spettacolo, quello dell’invaghimento di Maria per Gonzalo Gòmez y Morena. L’esotico baralliere spagnolo diventa oggetto dei più improbabili vaneggiamenti muliebri, e il linguaggio per un momento abbandona la sua crudezza per farsi poetico. Ma poetico in un modo melenso e perciò irresistibilmente comico, contenitore dei luoghi comuni più triti: gli occhi “sono laghi profondi”, il mento “dolce e virile”, lo sguardo “si perde lontano nel paesaggio”, mentre la giovane Maria cerca disperatamente un contatto fisico col ginocchio dello spagnolo, seduto accento lei sul torpedone per Lourdes. Qui, sia il testo che l’attore danno il loro meglio, strappando grandi e crudeli risate. Allo stesso modo, la caratterizzazione di alcune figure femminili, nella loro animalità e stupidità, sembrano quasi portare la firma di un occhio clinico e avvezzo ai cinismi, come potrebbe essere quello di un’infermiera esperta e sbrigativa: l’immagine dell’elastico delle mutande che s’incastra tra le chiappe della diabetica Micchelina mentre cerca di espletare il bisogno, “quello grosso”, chiedendo l’aiuto di “signorì”, ovvero della tapina Maria, convince invece di schifare proprio perché non cela nessuna empatia ipocrita. Lo spettacolo procede bene, almeno fino ai tre quarti. Poi, al momento dello scioglimento, il meccanismo narrativo s’inceppa, borbotta, e fracassa terribilmente a terra. Difficile dire se la causa sia di Cosentino o del testo stesso; personalmente propendo per la seconda ipotesi. Ritorniamo quindi sulla panchina di Maria, in attesa della santa abluzione. Fino a un secondo prima dell’immersione, eccola lì, schifata, sola, addirittura incapace di pregare perché distratta dai troppi monaci irlandesi vocianti e festevoli. La punta del piede sfiora l’acqua, e tac!, ecco l’illuminazione entrare prepotentemente nello spettacolo, spazzando via come un’immensa scopa quel cosmo squallido al quale, in fondo, c’eravamo anche affezionati: quello abitato di disgraziati e “stroppi”, di ritardati e deformi, di preti che sembrano albergatori e viceversa. Una luce improvvisa e fortissima, che scaccia ogni ombra dal testo, ogni dolore dal mondo, ogni scandaloso desiderio di rivalsa da Maria, che è andata a Lourdes, non dimentichiamo, per litigarci con Dio, per accusarlo e bestemmiarlo, come Giobbe. Un’agnizione che sa di autentico e letterale deus ex machina: evidentemente Nostra Signora di Lourdes fa davvero i miracoli. Maria chiuderà lo spettacolo “chiedendo perdono a Dio per avere osato misurare il disegno divino col metro della sua presuntuosa ignoranza”. Soli Deo gloria, d’accordo. Ma il punto è che, abbandonando lo scandalo per la Provvidenza, ogni dramma è impossibile, poiché conciliato e comprensibile. Questo stesso stridore, in un qualche modo, si ritrova anche nella scelta del contrappunto musicale. L’esecuzione dal vivo di Danila Massimi, eterea e delicata, è sembrata stonare con gli scoppi volgari di Cosentino, e interviene in scena come la scheggia preziosa di un corpo estraneo – o forse come metafora intempestiva dell’illuminazione redentrice. Un finale che stona, dunque, e molto. Sembra averlo avvertito anche il pubblico del Rasi, che ha cominciato ad applaudire con qualche secondo di ritardo, perplesso o forse in attesa dell’ultima boutade profana che stemperasse la pesantezza del sacro.
Hystrio, ottobre 2015

E’ uno degli spettacoli più azzeccati della tredicesima edizione di Kilowatt Festival questo Lourdes interpretato da Andrea Cosentino, e anche la scelta del luogo, un’evocativa piazza medievale, sopra la quale si stagliava una luna di luglio che da sola bastava da scenografia, ha contribuito alla riuscita. Importante è stato l’esperimento di Luca Ricci (regista dello spettacolo e direttore del festival), la capacità di portare in piazza un teatro che racconta e si racconta, che si fa con poco. Poi, certo, il silenzio non avrebbe guastato, ma anche così la sciarada di personaggi tra sacro e (soprattutto) profano, inanellati dall’esperto narrare di Cosentino, hanno dimostrato che il teatro di narrazione italiano è capace di riservare momenti alti e poetici. Qui in scena vanno i turbamenti, religiosi e non solo, di un’improvvisata dama di carità, Maria, che parte da Orvieto con un viaggio “della fede” in direzione Lourdes, tempio della sacralità dove spera di ritrovarsi dopo la morte del padre. Inutile dire che di sacro c’è poco in questo bus carico di speranze e cattivi odori che risale la penisola, dove le vecchie si assiepano come spiritelli infernali pronti a tentare la vocazione e stuzzicando la tentazione di atti non proprio puri. La redenzione, la scoperta di sé e de divino sono di là da venire; più interessante, anche se già indagato, l’aspetto sociologico di questi tour lowcost nei luoghi del sacro. Ma a vincere la partita è lui, il multiforme Cosentino, con la sua parlata melodica e sorniona, con il suo accento del Centro Italia che rende tutto più cinico e disincantato, montato su un incedere sintattico fatto di paratassi infinite, come infinita è l'(auto)strada della fede. I personaggi, macchiette quanto basta, son dolenti e nostalgici, mai troppo lontani e neppure troppo vicini. Vengono avanti e si fanno scrutare, per domandarci se anche noi abbiamo deciso di credere.
www.teatroecritica.net, 7 agosto 2015

(…) È facile, invece, scovare l’umanità nei personaggi di Lourdes, che vede Andrea Cosentino diretto da Luca Ricci (drammaturgo e regista di CapoTrave e direttore artistico di Kilowatt). Presentato in prima nazionale ai Teatri del Sacro e ispirato all’omonimo romanzo di Rosa Matteucci, lo spettacolo racconta un viaggio verso la nota località religiosa. Viaggio che porta in sé una serie di domande, sulla carità e sulla fede, sulla vita e sulla morte. Riconosciamo in quelle parole che scorrono le une in fila alle altre, nelle diversità di intonazione, il modus recitandi dell’artista abruzzese. Quello scivolare di personaggio in personaggio (a volte en travestie) senza mai lasciarsi possedere da nessuno, quell’alternarsi fluido di racconti (in prima e terza persona) e dialoghi, quella frammentazione calibrata, che non esce mai dalle traiettorie della storia. A sospendere, più che spezzare, il ritmo cosentiniano, e a dargli respiro, la musica in scena di Danila Massimi. I tipi umani tratteggiati non ci paiono poi tanto differenti da quelli che affollano il teatro di Cosentino, quegli stereotipi all’italiana che abbiamo visto sfilare dietro la cornice vuota di Telemomò o in gita verso l’Asinara (ne L’asino albino). Ma dietro il grottesco si nascondono lo spaesamento, la fragilità, in questo caso di Maria Angulema – la protagonista – che nel tentativo di elaborare un lutto, si trova a mettere in discussione se stessa e le proprie convinzioni. (…)
www.teatroecritica.net, 19 giugno 2015

È passato il tempo in cui i professionisti del settore guardavano a Lucca con una certa diffidenza, si pensava al festival prodotto con i soldi brutti, sporchi e cattivi della Chiesa, non è così da un po’. Ormai la cittadina non è più zona teatrale periferica, ma uno dei centri propulsivi e va a impreziosire un panorama festivaliero toscano già ricchissimo. L’organizzazione dei Teatri del Sacro fa capo alla Federgat (Fondazione Gruppi Attività Teatrali), sono loro (in collaborazione con la Fondazione Comunicazione e Cultura – Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI e l’ACEC ) a organizzare ogni due anni la manifestazione e a preparare il bando con cui finanziare i progetti delle compagnie. In questa edizione la scelta di restringere il sostegno al teatro amatoriale ha permesso di concentrarsi maggiormente sul teatro professionale. In molti, tra operatori e giornalisti (oltre a un numerosissimo pubblico locale), sono venuti a Lucca, magari solo per uno o due giorni, anche perché avrebbero trovato i debutti di Punta Corsara, Andrea Cosentino, Roberto Corradino, César Brie, Carullo-Minasi e tanti altri sapendo però che l’innesco, nella maggior parte dei casi, era proveniente dall’esterno, ovvero attraverso la stimolazione sui temi del sacro.

Un segno importante è stato lasciato sicuramente da Lourdes lo spettacolo presentato da Luca Ricci e Andrea Cosentino, coppia inedita formata dal regista della compagnia CapoTrave e dall’autore e attore già interprete di una carrellata portentosa di personaggi e storie che hanno saputo negli anni rompere gli argini del teatro di narrazione per metterlo in crisi e reinventarlo in continuazione (articoli e recensioni). Ricci per l’occasione ha rispolverato un libro che teneva nel cassetto da diverso tempo, il romanzo omonimo di Rosa Matteucci pubblicato nel 1998 per Adelphi. La storia, autobiografica, è un viaggio in una delle capitali della fede più conosciute che si fa grottesco e dissacrante, con un finale spiazzante e rivelatore.
Sul palchetto alzato nella Chiesa di San Giovanni, Cosentino si presenta in mutande, alla sua sinistra la presenza musicale di Danila Massimi, scelta stilistica di pregio, non semplice accompagnamento ma relazione dialogante con la drammaturgia e i ritmi recitativi dell’attore. Con gli abiti da dama di carità Cosentino veste anche la prima persona, ma come sempre è un abito che prende a prestito tenendolo alla giusta distanza. Bastano pochi minuti per accorgersi che l’adattamento del romanzo è cucito attorno all’espressività del comico romano in modo rigoroso, potrebbe quasi essere un suo testo per come vengono schizzati i protagonisti della storia i quali, come sempre accade con Cosentino, prendono le sembianze di caricature disegnate da uno sguardo cinico, ma gentile al contempo.
Maria, dopo la morte del padre, parte da Orvieto per «chiedere formale spiegazione e magari soddisfazione di tanta sofferenza al Padreterno»; è una giovane donna che si trova a mettere in dubbio le proprie certezze, a lottare dentro di sé con gli stereotipi e la propria vocazione. Dopo un viaggio intero passato ad accudire vecchie signore insopportabili alla ricerca di un miracolo e aver scambiato gli sguardi di un giovane volontario sordomuto per caldi segnali si rende conto di non essere tagliata per quel lavoro. Credeva di trovare la solidarietà mitizzata dai racconti, si immaginava a sollevare gli animi degli storpi e invece si ritrova ad aiutare antipatiche vecchine incapaci di andare al bagno da sole. Ma quasi a sua insaputa ha intrapreso un viaggio, che pian piano, attraverso piccoli indizi, svelerà una reale necessità di fede e di confronto con il divino. C’è spesso in questo spettacolo qualcosa di prodigioso, quasi impossibile da spiegare, ma che arriva subito sulla pelle dello spettatore e risiede proprio in certi imprevedibili scivolamenti, piccole eclissi, che segnano il passaggio dai momenti comici a quelli toccanti. (…)
www.klpteatro.it, 18 giugno 2015

Lo seguiamo con passione da quattro edizioni, I Teatri del Sacro, per cui ci siamo gettati di nuovo con entusiasmo nel turbinio dell’avventura del festival, che come consuetudine si è svolto nella bellissima cittadina di Lucca dall’8 al 14 giugno. (…) Anche in “Lourdes”, tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Rosa Matteucci, il corpo è al centro della creazione.
Attraverso la forte presenza attorale ed autorale di un artista che apprezziamo da molto tempo come Andrea Cosentino e la musica suonata dal vivo, che sottolinea i momenti più intimamente espressivi di Danila Massimi per la regia di Luca Ricci, lo spettacolo dà vita a un grottesco pullulare di personaggi, ciascuno con le proprie aspettative e speranze, tutti in viaggio verso Lourdes, ognuno in attesa di un miracolo.
Il tutto viene visto dall’occhio giudicante di una volontaria alla ricerca di un’importante risposta. L’osservazione capziosa di tutto questo mondo sofferente viene demolita dallo spiazzante finale, in cui la luce di Dio investe la protagonista, ricordandone la propria tracotanza rispetto alle miserie del mondo. (…)